domenica 1 febbraio 2009

Fuck off all british !


Nella prigione galleggiante degli italiani
la vita sotto scorta dei "ladri di lavoro"


Nella prigione galleggiante degli italiani la vita sotto scorta dei "ladri di lavoro"

La protesta degli operai inglesi

dall'inviato ENRICO FRANCESCHINI
GRIMSBY (INGHILTERRA) - Sembra una prigione galleggiante, e ormai lo è diventata. Dietro le reti metalliche, oltre gli agenti con la casacca gialla, in fondo al molo 93, tra vecchi pescherecci, gabbiani famelici e acqua sporca, la chiatta che ospita gli operai dell'azienda siracusana Irem è protetta come un carcere di massima sicurezza.

I lavoratori italiani ne escono solo sotto scorta della polizia: ieri alcuni sono saliti in pullman per andare in gita a York, forse un premio per quello che hanno dovuto sopportare nei giorni scorsi. Come venerdì, quando sono rimasti fermi tre ore sui bus che dovevano portarli una quindicina di chilometri più a nord, alla raffineria della Total dove costruiscono un impianto per ripulire il petrolio dallo zolfo: bloccati dai picchetti degli scioperanti britannici, che non contenti di impedire l'accesso allo stabilimento sono venuti fin qui ad affrontare gli "its", come li chiamano con l'abitudine ad abbreviare tutto, ossia gli italiani, accusati di "rubare" i loro posti di lavoro e invitati a "tornare a casa propria".

Perciò ora, se vogliono fare due passi, devono restare a bordo, accontentandosi del ponte di questa orribile chiatta di tre piani, stile condominio sovietico, diventata l'epicentro della protesta che sta contagiando tutto il Regno Unito. Fumano una sigaretta, fanno ciao con la mano da lontano, tornano dentro: passano il tempo così.

Ha un bel sgolarsi, il vicepresidente della Irem, Giovanni Musso: "Abbiamo vinto un appalto, abbiamo scrupolosamente seguito leggi europee e norme sindacali, è chiaro che le polemiche sulla nostra presenza sono solo una conseguenza della crisi economica mondiale". Tra l'altro, dei conclamati 200 milioni di euro del contratto per la costruzione del nuovo impianto, soltanto 18 andranno in sub-appalto alla ditta italiana, che contava di fare arrivare quassù altri trecento operai il mese prossimo e terminare i lavori in aprile. Ma adesso non è chiaro quando finiranno, né se domani gli italiani potranno rientrare nello stabilimento.

Gli scioperi selvaggi contro questa minuscola presenza di lavoratori stranieri in Gran Bretagna si sono infatti allargati a decine di raffinerie, in Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord; lunedì cominceranno a incrociare le braccia per solidarietà anche nelle centrali nucleari. Avanti di questo passo si fermerà tutto il paese, predice la stampa nazionale.

Dagli anni Settanta non si assisteva a un'ondata di scioperi spontanei tanto massiccia. E' paradossale che accada per un contratto a termine di quattro mesi a poche decine di operai: ma la rabbia, le polemiche, le proteste, sono il sintomo di un disagio più ampio, di cui gli italiani sono solo il capro espiatorio. La fotografia pubblicata in prima pagina dal Daily Express, quotidiano tabloid che spesso cavalca la xenofobia anti-immigrati stranieri, in cui si vedevano due dei nostri operai che mostrano il dito medio e fanno il gesto dell'ombrello, ha ulteriormente riscaldato gli animi.

A Grimsby si racconta che sono volati insulti e pure qualche cazzotto, tra italiani e inglesi, qualche sera fa in un pub di Cleethorpes, una cittadina delle vicinanze. Il nervosismo è innegabile. Però gli inglesi ai picchetti della raffineria smentiscono di avere intenzioni violente: "Siamo qui solo per rivendicare il nostro diritto al lavoro, è assurdo dare impiego a degli stranieri quando noi britannici abbiamo due milioni di disoccupati e ogni giorno ne vengono licenziati a migliaia a causa della recessione". Uno tuttavia accusa: "Provate a immaginare cosa sarebbe successo in Italia, se degli operai inglesi avessero fatto gestacci simili a italiani rimasti senza lavoro". Replica uno degli operai, quasi tutti siciliani, della Irem: "Bisogna sentire cosa ci dicevano gli inglesi, mica abbiamo cominciato noi a insultare".

Per stare nel sicuro, il nostro ambasciatore a Londra, Giancarlo Aragona, ha spedito a Grimsby la console italiana di Manchester, Chiara Petracco, col compito di assicurarsi sulle condizioni di vita e sull'incolumità dei connazionali. Ieri mattina la console è salita sulla chiatta, ha pranzato con gli operai, più tardi ha incontrato il capo della polizia locale: "Sono tranquilli", dice. "Certo non sono contenti, è una situazione che lascia l'amaro in bocca a tutti. C'è tensione, per questo le forze dell'ordine vigilano, ma senza allarmismi, non ci sono state minacce".

La barca-albergo, orrenda dal di fuori, all'interno è pulita: cabine minuscole, ma c'è un piccolo bar e un cinema da 80 posti. Agli operai inglesi non piace neanche questo: "Se almeno gli italiani fossero alloggiati sulla terraferma, porterebbero denaro all'economia locale". Commenta uno degli italiani: "Se ci lasciassero lavorare, un po' di soldi nei loro bar e ristoranti li spenderemmo".

I giornali di Londra se la prendono perfino con l'abbigliamento dei nostri compatrioti: notano che indossano occhiali da sole "da designer", jeans attillati, giacconi firmati, li descrivono come degli elegantoni, quasi che anche i loro abiti, in verità assai modesti, fossero un insulto.

Davanti a una birra, nel baretto del porto di Grimsby, gli operai inglesi sono più pacati: "Non ce l'abbiamo con voi italiani, ce l'abbiamo con la Total che assume stranieri, con il governo che non fa nulla per difendere i nostri posti di lavoro, con questa crisi maledetta". Negano che la protesta contenga elementi di razzismo o xenofobia, sebbene qualcuno accusi gli italiani di non rispettare le norme "igieniche e di sicurezza": insomma di essere sporchi e lavorare male.

"Gli italiani non c'entrano, il nostro problema è la recessione, quando le cose andavano bene nessuno si lamentava dell'immigrazione", riconosce Colin Eastwell, sindaco di Grimsby, dove risiede un'ampia comunità di polacchi. Al bar, alla fine, c'è chi conclude che ci penseranno Manchester United, Chelsea e Arsenal a dimostrare chi è migliore tra Inghilterra e Italia, nell'imminente sfida degli ottavi di Champions League contro Inter, Juve e Roma. Forse dovremmo mandare Fabio Capello, osannato allenatore della loro nazionale, a ricordare agli inglesi che qualche volta è bene importare uno straniero.

Quando il nostro Beneamato Nonno descriveva quella nazione come "La perfida Albione" non aveva tutti i torti. Chiunque abbia visitato la City si è reso conto conto dello stato in cui versa l'inghilterra, piena di gente inturbantata, di gente proveniente dalle ex colonie che è stata accettata come prezzo da pagare in cambio di un post-colonialismo che ha rovinato interi continenti; un post-colonialismo che ha fatto pochi ricchi e migliaia di disoccupati. Come al solito chi ne farà le spese saremo noi Italiani, per dirla alla celentano "Gente tranquilla che lavorava" ....... altro che mandare consoli a consolare, qui è il momento di tirare fuori le palle, ma il Cipria di palle conosce solo quelle di Milanello. E così dopo il "caso Battisti" si profila un'altra figurina di merda per la nostra Patria da risolvere per così dire "calcisticamente".
Ahi Noi!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Me li ricordo l'inglesi quando pigliavano per il culo la Fiat, scrivendo Fix It Again Tony, dove Tony stava per il nomignolo con cui chiamavano i meccanici e fix it again stava per riparala ancora; ora hanno fatto la fine der boddo stì allezziti, tutte le marche storiche svendute agli stranieri e se non era per l'indiano senza penna Tata Motors, avevi voglia a mangià le cipolle ... Certo che se i romani un gli avevano portato un pò di civiltà e costruito il vallo erano ancora lì ad attaccare le caccole ai sassi di stonenge, hai voglia a mangiare pane secco per arrivare al nostro grado di cultura !

Anonimo ha detto...

esatto. Abbiamo insegnato il mondo a camminare. Scoperto l'America. Conquistato e civilizzato mezzo mondo. FIERI DI ESSERE ITALIANI PRIMA DI TUTTO. NESSUN PAESE è AI NOSTRI LIVELLI.

W L'ITALIA
W IL DUCE, anzi...W BERLUSCONI
ahahhahahhaha


ciao belllli

a presto
Al.